La pace non comincia da una strategia

ma da un grembo

All’inizio di un tempo nuovo siamo abituati a fare bilanci e progetti. Cosa cambiare, cosa migliorare, cosa controllare di più. Qui, invece, non partiamo da un programma. Partiamo da una madre.

Nella Bibbia la pace non è l’assenza di problemi, é la presenza di un volto. Quando il volto manca, restano la difesa, la paura, l’aggressività. Quando il volto è riconosciuto, può nascere la pace.

Per questo Dio non entra nella storia come un’idea o come un sistema. Entra passando dalla carne. Da una donna. Da una relazione fragile, esposta, non protetta.

Qui il cristianesimo diventa scomodo: ogni pace che salta i corpi, le relazioni reali, la storia concreta, diventa ideologia.

E allora vale la pena dirlo senza girarci attorno. Se la pace fosse solo una questione politica — di equilibri, di trattati, di confini — perché fallisce sempre quando l’uomo è interiormente spezzato? Perché anche le società più organizzate diventano violente quando l’uomo ha paura, quando si sente solo, quando deve difendersi per esistere?

E dall’altra parte, se la pace fosse solo spirituale, interiore, privata, perché Dio non resta in cielo? Perché entra nella storia, nel corpo, in una famiglia concreta? Perché si fa figlio, prima ancora che maestro?

La pace, se è vera, è incarnata. O passa dal cuore dell’uomo e dalla sua carne, oppure resta una parola vuota.

C’è una donna che lo mostra senza spiegazioni. Non controlla. Non commenta. Non organizza. Custodisce.

In un mondo che reagisce a tutto, consuma tutto, deve avere subito un’opinione su tutto, la custodia è un atto non violento.

La pace nasce lì: da un cuore che non divora la realtà, ma la accoglie anche quando non la capisce.

Questo è scomodo. Perché vorremmo partire facendo di più. E invece la vita chiede di essere ricevuta meglio. Finché l’uomo non impara di nuovo a stare nella vita come un figlio, continuerà a difendersi, a possedere, a dominare. E non ci sarà pace. Né nelle famiglie, né nelle comunità, né nel mondo. La pace non si produce. Si genera. E nasce nel silenzio, nella fedeltà al fragile, nella custodia di ciò che ci è affidato.

La domanda allora non è: che cosa farò di più o di diverso quest’anno?

Ma: che spazio di ascolto, di mitezza, di custodia sto offrendo alla vita che mi è affidata?

Se lì nasce qualcosa — anche piccolo, anche fragile — la pace ha già cominciato.