L’uomo del gratta e vinci
Quando la superficie si graffia, la vita comincia a respirare
Questo è un racconto.
Non va interpretato, ma attraversato.
Prenditi il tempo di leggere.
Come ogni mattina, l’uomo si fermò un istante sul pianerottolo, in attesa di quel suono pieno e definitivo del portone di casa che si chiudeva dietro di lui. Era il suo piccolo rito: l’eco di un momento sospeso in cui il dentro tace e il fuori non parla ancora, una via di mezzo che lo traghettava, ogni giorno, dal tepore dell’intimità al freddo della realtà.
Quel suono dava inizio alla sua danza mattutina, un ritmo scandito dai passi che riempivano il silenzio assordante delle scale. Ogni pianerottolo, un portone; e dietro ogni portone che attraversava, immaginava un mondo diverso, una possibilità di vita che non gli apparteneva.
Voci che forse già si muovevano: una televisione che parlava da sola, i rumori impacciati di una cucina che si svegliava, gli odori di culture che non gli appartenevano. La pigrizia di un bambino che non voleva andare a scuola, l’insistenza di un adulto che eseguiva i gesti del mattino come comandi di un software comprato online, promettendo, nell’ordine e nella ripetizione, efficienza e produttività.
Tutte esistenze parallele, vicinissime eppure irraggiungibili. Le sentiva scorrere come vene invisibili nel corpo del palazzo, un flusso caldo che però, alla fine, non lo riguardava. E proprio mentre immaginava quelle vite che non sarebbero mai state la sua, dal portone condominiale un soffio d’aria lo colpì in pieno viso.
La brezza fresca del mattino gli entrò nel corpo come una scossa, spazzando via in un istante i sogni, i pensieri, le scene inventate. La realtà era lì, nuda, fredda, inesorabile, e si infilava sotto il bavero del cappotto come un promemoria. D’istinto alzò le spalle e abbassò il collo, quasi a difendersi da quella nuova luce che non chiedeva permesso. L’aria sapeva di ruggine e di pioggia, quel profumo tagliente che resta dopo una notte lunga. Sui marciapiedi, le pozzanghere restituivano una luce incerta, come un respiro del nuovo giorno trattenuto da una notte che non voleva ancora dileguarsi.
Da lontano arrivavano rumori lenti e disordinati, metallici e striduli, come di una città che si stiracchia le ossa al risveglio. Un clacson isolato, il cigolio di una saracinesca, il vetro di una bottiglia che rotolava da qualche parte. Un autobus si fermò con un respiro affannato, e un odore di gasolio gli si appiccicò addosso, rubando il posto al timido profumo di umido e di terra che si apre con la prima luce. Ma dietro l’ingombro delle cose fatte dall’uomo, il fruscio degli alberi resisteva, come una natura che non si arrende, che non si lascia mettere a tacere dalla tecnologia che avanza.
L’uomo restò fermo, le mani in tasca. Guardava tutto senza capire se stesse osservando o subendo. Una donna spingeva un passeggino e parlava al telefono. Un cane tirava il guinzaglio contro un muro. Un ragazzo camminava frettolosamente con la giacca aperta e gli occhi evidentemente pieni di sonno. Niente aveva un ordine, solo movimenti che si urtavano, gesti che cercavano spazio dentro un giorno qualunque che spingeva per cominciare e trovare il suo senso.
La realtà non chiede permesso, si impone: è l’aria che entra nei polmoni come una spada che apre, ferisce, ma fa respirare.
Davanti a lui la vista dei palazzi si sfumava nella rugiada e nel silenzio, l’asfalto rifletteva la luce incerta dei lampioni rotta dal movimento degli alberi. Mentre avanzava lungo lo stradone un pensiero ironico gli sfiorò la mente, come se quella nebbiolina del mattino che saliva dall’asfalto fosse parte del suo respiro.
Delle sagome scure, sfuocate e incerte apparvero al limite del suo orizzonte. Fu il riflesso arancione a catturare la sua attenzione e i suoni metallici inconfondibili che si ripetevano come una cadenza stonata ne svelarono il mistero.
Ad ogni passo le figure si facevano più nitide e quei rumori cadenzati riempivano la sua attenzione. Il ronzio del motore diesel del bestione della strada, il vetro che cadeva nel cassone del camion e le pale che piano piano mangiavano ogni cosa gli venisse consegnata.
Non c’era più distanza. Incrociò lo sguardo con i netturbini e un cenno di ringraziamento bastò. Apparivano come piccoli demiurghi che svuotano la città per poter ricominciare di nuovo. Loro ricambiarono con un gesto sicuro come a dire: “tranquillo butti pure il vecchio così potrai camminare leggero”. Per un attimo si sentì complice, ma quando quel rumore si dileguò nel silenzio della strada, l’asfalto gli si fece nuovamente pesante…
…“Buongiorno come ha riposato? Ha visto come é pungente stamattina l’aria, speriamo che il tempo si aggiusti… solita spremuta, caffè e cornetto al pistacchio?” Domando il barista da dietro il bancone con spirito animato e fare frettoloso. “No Mario, oggi vado di cornetto vuoto, la vita non ti dà scampo prima ti illude e poi ti lascia senza niente”. Rispose l’uomo cercando di eludere l’interesse mostrato dal barista.
Il bar respirava del suo solito brusio: parole che si urtavano, tazzine che tintinnavano, macchina del caffè che sbuffava e sedie che strisciavano sul pavimento.
Un sottofondo costante, senza inizio né fine, come il rumore del mare quando non lo si ascolta davvero. Dentro quel frastuono, l’uomo trovava la sua quiete.
Sì sedette al solito posto, accanto alla finestra, appoggiò i gomiti al tavolino, sistemò con cura i due gratta e vinci e li osservò a lungo, come si guarda qualcosa che può cambiare il destino. Poi prese la monetina. Il primo tocco sul cartoncino fu lento, quasi devoto: un graffio breve, secco, che parve zittire tutto il resto. Una piccola liturgia contro la rassegnazione.
In quel momento il bar non esisteva più. Solo la televisione rimase viva, appesa sopra lo scaffale dei liquori.
Da lì, una voce allegra, troppo nitida per quell’ora del mattino, ruppe il silenzio sospeso.
“Buongiorno a tutti! Oggi cieli sereni al nord, qualche nube in arrivo al centro, ma nulla di preoccupante. In studio parleremo di benessere, di nuove abitudini alimentari…”
La grafica colorata scorreva e si rifletteva sui suoi occhiali: titoli, numeri, oroscopi, previsioni del traffico.
L’uomo non stava nemmeno ascoltando, era solo catturato dalla chiarezza dei dettagli, dalla precisione dei contorni, dall’intensità e dalla purezza della tonalità.
Lui invece si sentiva grigio, leggermente fuori fuoco, e debole. Quella forza di colori vibranti, quella nitidezza invadente, sottolineavano il suo senso di inadeguatezza, un misto di debolezza e colpa.
Sul tavolino, la monetina rifletteva la luce dello schermo. Per un istante sembrò la stessa luce: artificiale, perfetta, indifferente. Il mondo gli diceva chi doveva essere, e lui, senza volerlo, ci credeva un po’ ogni giorno. Il miracolo sembrava a portata di mano: la speranza era in vendita!
Si voltò distrattamente verso la finestra. Fuori, il traffico si muoveva lento, ma nel vetro vide riflesso il proprio volto, e dietro, l’andirivieni del bar come lo sfondo di una vita sintetica. Sembrava il negativo di una vecchia fotografia che incornicia un passato che non esiste più.
Un pensiero gli attraversò la mente: lei, a casa, il suo respiro corto, l’odore dell’alcol, immobile, consumata ormai non solo dalla malattia ma anche dal tempo.
Ogni mattina, prima che arrivassero gli operatori, si prendeva cura di lei con la stessa delicatezza di un tempo: le accarezzava il viso, le sfiorava la fronte con un bacio.
Una scossa improvvisa lo attraversò, come un morso che gli azzannava le viscere. Un ricordo della loro di vita che non sapeva dove mettere. quelle sbarre del letto ormai la tenevano lontano da lui.
Poi venne la vergogna. Avvertiva dentro di sé un fremito, una tensione che lo abitava nonostante tutto. Si sentiva vivo, e quel respiro lo faceva sentire colpevole. Sì era convinto che la cura avesse preso il posto dell’amore, ma ora non ne era più certo…
Fermati un momento.
Questo racconto non chiede di essere capito.
Chiede di essere abitato.
Le domande che seguono non servono a interpretare la storia,
ma a vedere dove ti tocca.
Scrivi solo ciò che sei disposto a riconoscere.
Se vuoi restare in relazione